Ciao,
Qui a Marabino l’inverno si è fatto attendere più del solito. Un autunno caldo e arido ha anticipato piogge e temperature più fredde che sono arrivate solo nel mese di gennaio, cosa piuttosto inusuale per la zona.
Prima di iniziare le potature abbiamo estirpato un vecchio vigneto di nero d’Avola, il Conca, a causa dei problemi nati dalla vendemmia 2022 dovuti alla cicalina. Ricordi? Ne avevamo parlato nella newsletter di quell’autunno. In questo appezzamento, prima di fare un nuovo vigneto, pianteremo per due anni del grano al fine di accelerare il processo di risanamento del terreno. Abbiamo recuperato i pali, era un vigneto allevato a cordone speronato, per usarli lungo i confini di Marabino, e su di essi abbiamo provveduto a piantare nuove siepi di lentisco, oleandro, carrubbo, alloro e corbezzolo per incrementare la biodiversità all’interno della nostra tenuta. Quando sarà il momento pianteremo però ad alberello, e oggi vorrei parlarti proprio di questa tipica tecnica di allevamento, così peculiare e a cui sono particolarmente affezionato.
La coltivazione ad alberello è diffusa un po’ ovunque nella zona del Mediterraneo, qui in Europa fra Italia, Francia, Germania, Grecia, Spagna, etc.: in generale dove le condizione climatiche, da caldo asciutte a fredde, limitano lo sviluppo della pianta. Il ceppo della vite ad alberello può essere sotto il livello del terreno, come a Pantelleria, o più o meno alto, come nella zona di Vittoria e sull’Etna. Lì la pianta si tiene più alta per non esporre i grappoli all’umidità del suolo, nel nostro territorio si tiene invece più bassa in modo che questi lo possano sfiorare: siamo in una zona arida e calda, e proprio in basso risiede l’aria più fresca in quanto più pesante. I ceppi sono sempre sostenuti da pali (noi utilizziamo quelli in ferro, oltre ad avere un minor costo rispetto a quelli in castagno garantiscono una maggior tenuta nel tempo).
Nel nostro territorio le viti venivano tradizionalmente impiantate ogni 90 centimetri: si pensava di ottimizzare la produzione aumentando i ceppi per ettaro, ma questo oltre a comportare maggior lavoro invece di aumentare abbassava la resa media per ceppo, donando al tempo stesso maggior qualità alle uve. Si trattava di un sesto di impianto ideale per passare con il mulo. Successivamente, con l’avvento delle motozappe, il sesto si è allargato a 1,25 metri per 1,25 metri (come quello della nostra vigna Archimede, anche se ogni tanto anche in questo vigneto abbiamo trovato dei vecchi ferri da mulo). Oggi, al fine di poter gestire al meglio il vigneto con lavorazioni del suolo più precise, abbiamo adottato un sesto più largo così da poter accedere tra i filari con il trattore (2,30 metri per 0,90 metri).
Prima che entri in produzione l’alberello necessita di almeno due/tre anni dall’innesto (sul campo, con selezione massale). Solo alla fine del terzo anno inizia la vera e propria potatura di produzione: se il vigore della pianta lo permette si possono costituire le tre branche desiderate alla stessa altezza. Questa forma a tre branche (spalle) è detta a vaso. Nel nostro territorio gli alberelli si coltivano con tre branche potate molto corte, a due gemme, per un totale di sei tralci annui, mantenendo la produzione delle uve assai modesta se paragonata a una potatura lunga (8/12 gemme) come quella che si fa per il guyot. Questa scelta agevola la longevità della vite, che così non viene sovraccaricata in termini di produzione e riesce a concentrare le energie su meno grappoli (oltre a poter gestire meglio lo stress derivante dal calore estremo delle nostre estati).
Nonostante il sesto più largo e quindi un approccio più meccanizzabile, le lavorazioni del suolo nella vigna ad alberello vanno comunque rifinite a mano con l’uso della zappa, per “scausare” (scalzare) meglio la vite sotto il ceppo.
A differenza dell’allevamento a spalliera, ogni ceppo (quando ad alberello) ha una sua libertà di crescita che lo rende sempre e comunque differente da vite a vite. Ogni pianta con il tempo acquisisce una sua forma, unica e irreplicabile, cosa che si nota molto meno in un impianto allevato a spalliera. Questo è uno dei tanti motivi che rende il vigneto ad alberello più originale e affascinante.
Durante la fase vegetativa i tralci vengono legati a un tutore, noi utilizziamo foglie di giunco raccolte durante la luna piena. Foglie che sono ricche di acqua, che vengono essiccate al sole e che successivamente vengono reidratate al fine di far raggiungere loro la giusta elasticità. È allora che sono pronte per legare le nostre viti. Al termine del loro uso, quando d’inverno potiamo i nostri vigneti, queste foglie tornano al suolo senza inquinare e apportando materia organica al terreno.
Se nella spalliera si forma una parete fogliare, nella vigna ad alberello ogni vite ha un irraggiamento a 360 gradi che la espone meglio ai raggi del sole e ai venti. La chioma, legata, continua il suo sviluppo apicale ma dopo l’allegagione avviene la cosiddetta “mazzunatura”: si tratta di una tipica tecnica dell’alberello impupato pachinese che consiste nel prendere il fascio apicale dei tralci, quindi la parte più tenera, e avvolgerla attorno al tutore cercando di strozzare il flussi linfatico del tralcio. Questo ha l’effetto di una cimantura senza però arrecare tagli alla vite che, ingannata da questa tecnica, non produce femminelle e concentra le energie sui suoi frutti.
Dopo la mazzunatura non viene effettuata più alcuna lavorazione al di fuori di qualche trattamento, se necessario. L’alberello non va né sfogliato né cimato, la sua tipica forma a vaso avvolge i frutti come un abbraccio coprendoli con le foglie ed esponendoli appena al sole. In questo modo si evitano scottature che brucerebbero e appassirebbero l’uva date le temperature, spesso proibitive, che si raggiungono qui da noi.
L’alberello si raccoglie esclusivamente a mano, non è vendemmiabile a macchina. Se le uve a pochi centimetri dal suolo implicano una raccolta più faticosa e più attenta, questa ripaga con frutti magnifici.
Negli anni abbiamo notato come questa coltivazione a differenza dell’allevamento a spalliera abbia dei costi superiori ma le viti, esposte a temperature sempre più calde, rispondono meglio e mantengono più costanza di maturazione nelle vendemmie. Nel moscato abbiamo poi notato che le viti coltivate a spalliera sono soggette alla beccata degli uccelli, mentre in quelle ad alberello no, poiché l’uccello teme il suolo, dove si trovano i grappoli: ha paura dei predatori. Al tempo stesso proprio l’uva degli alberelli è più soggetta alla fame delle volpi che a volte si aggirano in zona, ma questo è lo scotto di una sana biodiversità!
A presto,
Pierpaolo Messina